venerdì 24 dicembre 2010

La tragicomicità sarcastica napoletana: un popolo unico, nella buona e nella cattiva sorte

Ed anche i rifiuti di Napoli sono finiti nel presepe!



Gli artisti artigiani di Napoli, si sa, in fatto di presepi non badano a limitazioni di sorta. Già in passato ci hanno abituati con statuine di vario genere con le fattezze di personaggi di spicco del mondo politico, dell'informazione e dello spettacolo. Quest'anno che ci sarebbero tante statuine in terracotta da fare, riproponendo le perle regalateci da Silvio Berlusconi, i presepi napoletani pare siano tematizzati sui rifiuti, proprio come quello che si può vedere in queste foto dove le statuine sono munite di mascherine e di fazzoletti per salvar il naso dagli odori dell'immondizia sparsa per le strade del capoluogo campano.
E non solo i maestri di San gregorio hanno tematizzato ma anche gli alunni delle scuole napoletane rilanciano e presentano i presepi fatti di rifiuti, sacchi, buste, confezioni, lattine, bottiglie e persino ritagli di giornale che richiamano le promesse di superguido Bertolaso ed il nano Berlusconi.





Natale tutto l'anno
A San Gregorio Armeno è Natale tutto l'anno. In tutti i mesi, anche quando fa caldo e il Natale è lontano, i maestri sono all'opera per costruire i tipici presepi in sughero e i pastori in terraccotta. L'atmosfera di San Gregorio Armeno comincia a riscaldarsi a novembre ma è dicembre il mese in cui la strada è è gremita di gente a ogni ora del giorno. Ogni maestro presepiale sa consigliare perfettamente il suo cliente rispetto al significato, il simbolo e l'uso di ogni pastore.

A san Gregorio anche i Presepi sono affollati
I pastori devono essere di terracotta che, essendo più plasmabile e flessibile del marmo o della pietra, si presta meglio a rendere anche l'anima del pastore oltre alla sua fisionomia. Gli artigiani sono molto affezionati all'antica arte napoletana presepiale ma per essere al passo con i tempi hanno dovuto accettare che in un presepe ci sia non solo il signor Pulcinella con la moglie Colombina, ma anche osti, macellai e pescivendoli che esibiscono in canestri, secchi e ceste tutto il mondo ittico-gastronomico della città. Un presepe all'antica, classico, dovrebbe essere costituito da pochi personaggi: il Bambino Gesù, la Madonna, san Giuseppe, l'asino e il bue, il ciaramellaro e i re Magi. Ma hanno importanza anche altre figure come quella di Benino, che dorme mentre aspetta la nascita del Sacro Bambino, il cacciatore, il monaco questuante, la zingara pagana, i due spassosi scrivani Razzullo e Sarchiapone, le leggendarie "accademie", ossia mendicanti in ginocchio che indossano solo un perizoma, e le "mezze accademie" che hanno solo il torso scoperto, che adorano il Bambino e implorano grazie e benedizioni. Diciamo quindi che i diecimila altri personaggi che affollano il presepe sono degli estranei, ma senza questi intrusi l'arte presepiale non si sarebbe mai evoluta così tanto. Nella bottega del macellaio, ad esempio, i grumi di sangue e le interiora sono dipinte con un rosso cupo molto particolare e i laghi e i mari hanno delle sfumature di azzurro veramente sorprendenti. Tutti questi soggetti che si mescolano tra loro e colorano il presepe lo rendono un affresco vivo e realistico, di una Napoli che ancora esiste.
E quest'anno non potevano certo mancare loro, i "grandi" protagonisti degli ultimi tempi... I RIFIUTI! :DDD
A testimoniare la concezione "filosofica" della vita di questo popolo, che subisce e metabolizza e, come si suol dire, " sa piglia pa ammor e-DDio"!!!Unico al mondo per questa grande capacità di ironizzare con fare sarcastico i "drammi" che, purtroppo, vive!





UN PO' DI STORIA

La caratteristica strada del poetico artigianato presepiale è Via San Gregorio Armeno.Questa strada, nota in tutto il mondo, era detta platea nostriana perchè quì, il quindicesimo vescovo di Napoli San Nostriano, fece costruire le terme per i poveri. Ma la strada, situata nella regione augustale, assume anche un importante valore religioso perchè il vescovo Agnello edificò la prima basilica - all'interno della città dedicata a San Gennaro. Questa chiesa è ancora oggi visitabile, seppur interamente modificata durante i secoli. Tra gli altri monumenti presenti va certamente messo in meritato rilievo il monastero di San Gregorio Armeno. Sulla storia di questo monastero, viste le numerose modifiche al primitivo impianto monastico e le numerose annessioni di edifici, o parte di essi, consiglio il lettore a maggiori approfondimenti. La strada ha mantenuto per secoli quella vitalità che ancora oggi la contraddistingue. Questo non solo per le notevoli strutture presenti durante tutta la sua storia, ma anche perchè cardine capace di connettere il vero centro della città antica (area oggi identificabile in parte con piazza San Gaetano) con le principali arterie (via San Biagio dei Librai, via Tribunali ). Una strada percorsa durante i secoli da ogni cittadino napoletano.A queste ed altre ragioni si deve la concentrazione di attività artistiche e commerciali. Era quì il centro artistico culturale ove erano fiorenti nel passato le botteghe di artisti, pittori, scultori, argentieri, intagliatori, doratori che con la loro sapiente arte hanno reso famosi chiese e palazzi che ancora oggi ammiriamo. Ho detto la Napoli culturale perchè basta pensare che a pochi passi da questa strada è Via San Biagio dei Librai. Quì, in un palazzo che ha oggi anche accesso dalla stessa via San Gregorio Armeno, un libraio diede i natali a Gian Battista Vico. Più avanti, a pochi passi da piazza san Domenico Maggiore, vi è una lapide che ricorda la dimora di Francesco de Sanctis. Nelle vicinanze troviamo anche Palazzo Filomarino, dimora di Benedetto Croce.Ma delle attività artistiche del passato, cosa è rimasto nella ancor oggi splendida via San Gregorio Armeno? La risposta sincera è: assai poco. Senza falsa modestia devo ricordare, nel palazzo di Michele Tenore - fondatore dell ' Orto Botanico di Napoli la nostra bottega che con una attività di circa duecento anni continua la raffinata scuola scultorea napoletana ed il restauro. Ma quanto attrae maggiormente il turismo è la fiorente produzione di pastori in terracotta. Ed ecco i Ferrigno, i Giannotti, i Maddaloni: tuttidi antica tradizione famigliare. A dare incremento a questa produzione di artigianato artistico furono dapprima l'Associazione Napoletana Amici del Presepio, poi l'Azienda di Cura e Soggiorno di Napoli che seppe incoraggiare con premi in denaro ed attività culturali. In questi ultimi anni va riconosciuta una maggiore attenzione da parte del Comune di Napoli. Nel mese di dicembre è tutto un presepe. Folle di visitatori, scolaresche di ogni parte del mondo affollano incessantemente questa strada che sembra appartenere al mondo dei sogni.
Prof. Antonio Lebro
BUON
NATALE !!!

venerdì 26 novembre 2010

Emergenza rifiuti



Napoli è pulita. Parola di Berlusconi.
Non voglio dare tutta la colpa al governo ... ma le menzogne proprio non le sopporto.
I problemi non si risolveranno mai se non si eliminano politicamente certi personaggi.
Sulla ricostruzione della vicenda campana e delle vere colpe del fallimento della gestione del ciclo integrato dei rifiuti, c'è anche un interessante articolo di Gabriella Gribaudi, docente di Storia Contemporanea presso l'Università Federico II di Napoli, che posto qui di seguito.
Gli anelli deboli della catena
di Gabriella Gribaudi
Come spesso succede nel nostro Paese, la discussione sui rifiuti napoletani si svolge
eludendo i termini concreti della questione e le vicende storiche che hanno provocato il disastro. È necessario allora ricostruire la catena degli errori e delle responsabilità che hanno portato alla situazione attuale.
Primo anello. La gara vinta dalla Fibe-Impregilo. La gara per due termovalorizzatori e sette impianti di Cdr iniziata nel 1998 (commissario straordinario Rastrelli) e conclusasi nel 2000 (commissario Bassolino) fu impostata male, portò a vincere l’impresa che aveva proposto l’impianto meno avanzato. La realizzazione fu anche peggiore: dagli impianti costruiti dalla Fibe esce un rifiuto che gli esperti chiamano, con un nome allusivo molto significativo, «tal quale». Si tratta, cioè, di rifiuti triturati e impacchettati, ma tali e quali a quelli che sono entrati, che quand’anche ci fosse il termovalorizzatore non potrebbero
essere bruciati. Questo è uno dei motivi per cui il suolo campano è coperto di ecoballe che non potranno mai essere gestite in un moderno ciclo di smaltimento, ma finiranno sempre in discariche. Inoltre il contratto prevedeva che il sito del termovalorizzatore di Acerra venisse scelto liberamente dalla ditta vincitrice. E, per i poteri di deroga del commissariato straordinario dovuti all’emergenza, non veniva richiesta la «valutazione di impatto ambientale» (Via). Successive modifiche all'ordinanza non resero comunque mai obbligatoria una vera valutazione. La scelta del sito ha dato origine al noto conflitto con le popolazioni. L’impresa Fibe, la capofila Impregilo e i suoi vertici (Piergiorgio e Paolo Romiti) sono stati accusati di truffa ai danni dello Stato e dei cittadini.
Il commissario straordinario del tempo, Antonio Bassolino, con i vice commissari di «inerzia» e mancanza di controllo. Il processo sta per avere corso.
Secondo anello della catena. La raccolta differenziata.
Per la raccolta sono stati creati 18 consorzi che dipendevano dal commissariato straordinario e che si sono dimostrati strutture inefficienti, inutili e clientelari. Inefficienza e spreco di danaro pubblico in alcuni casi si sono trasformati in vere e proprie truffe organizzate con personaggi di dubbia correttezza. Nel caso di Mondragone e della società mista pubblico-privato Eco4 è
emerso un rapporto con la camorra. Sono stati assunti e spalmati nei 18 consorzi per la raccolta differenziata circa 2300 lavoratori poi stabilizzati con un bando regionale nel 2001. Sono entrati, attraverso una corsia preferenziale, gli iscritti alle cooperative dei disoccupati organizzati. Quegli stessi che per mesi, anzi per anni, avevano bloccato le strade, le navi nel porto con i turisti obbligati a scendere, avevano incendiato cassonetti della spazzatura e autobus, con una vera e propria guerriglia urbana che aveva
bloccato la città. Nella compilazione delle liste sono state trovate anche in questo caso collusioni con la camorra, dimostrate in ben due processi. Questi lavoratori non fanno nulla e sabotano mezzi meccanici e attività.
Terzo anello. Il commissariato stesso. A questo proposito per brevità non ci resta che usare le parole della commissione parlamentare di fine anno che ribadisce le accuse durissime al commissariato straordinario «le cui inefficienze strutturali si sono rivelate, lungo questi anni, di tale entità da pregiudicarne in modo irreversibile operatività ed efficacia».
Ci troviamo di fronte a una fitta rete di responsabilità e a una catena di decisioni che, in un circolo vizioso, hanno condotto sempre più lontano dagli obiettivi preposti. Attraverso il commissariamento straordinario si è creato un sistema chiuso e autoreferenziale che è cresciuto su se stesso. Sono proliferate le spese: negli ultimi dieci anni si sono spesi circa 780 milioni di euro all’anno in emolumenti, consulenze, affitti degli immobili; si sono destinati invece unicamente 29 milioni all’anno per investimenti (relazione 2007).
L’emergenza ha permesso di saltare procedure trasparenti, di scegliere consulenti e
imprese al di fuori della concorrenza, evitare la mediazione con le popolazioni e con le istituzioni locali, annullandone le capacità gestionali. Ha infine prodotto decisioni unilaterali, non misurate con percorsi e contesti concreti.
Non c’è stata capacità di previsione e non c’è stato controllo. Si è realizzato un sistema che a ogni snodo presentava inefficienze e mancanze, e in queste inefficienze si è infiltrata l’opera della camorra: gli appaltatori dei trasporti e dello smaltimento hanno subappaltato ad altre ditte, che a loro volta hanno subappaltato a ditte ancora più piccole, in una catena incontrollabile in cui si sono con facilità inserite le organizzazioni criminali locali. Ma, si deve sottolineare, non è stata la camorra a indirizzare il piano e a farlo fallire. La camorra, esplicando un suo ruolo classico, ha gestito i gap all’interno del sistema e ha approfittato della storica incapacità di controllare i risultati del proprio operato delle istituzioni e delle amministrazioni pubbliche campane. All’origine del disastro ambientale verificatosi c’è poi l’operato di un’impresa nazionale, l’Impregilo. Il risultato?
Un piano, una gara, un contratto sbagliati, un’esecuzione ancora peggiore, coniugati con l’inefficienza totale della pubblica amministrazione, sono la causa prima del fallimento del ciclo dei rifiuti campani. Come nel ciclo dei rifiuti nocivi c’è una stretta complementarietà fra interessi nazionali e interessi locali. Imprese nazionali e internazionali hanno tratto profitti dalla politica dell’emergenza in cambio di una pessima prestazione.
D’altro canto gruppi dirigenti locali, attraverso la struttura del commissariato, hanno potuto gestire un rilevante flusso di spesa, rafforzando il proprio potere ed estendendo la rete di amici e clienti. E a farne le spese sono stati il territorio e i cittadini comuni.(Cronaca di Napoli - 12 gennaio 2008)
L'articolo risale al 2008... ma cosa è cambiato da allora? Nulla o quasi.
Quello che Berlusconi diceva di aver fatto, di aver risolto, è stato solo un provvedimento tampone per assicurarsi l'elettorato e conquistare la regione.
I risultati sono sotto gli occhi di tutti.
La verità sui rifiuti di Napoli a Vieni via con me, monologo di Saviano
Prima parte

Seconda parte


Terza parte

Quarta parte

Guardate questi video, un pò di pazienza, la verità rende liberi.

Riflettete, fate girare le notizie,solo conoscendo la verità e informando si possono risolvere i problemi!



martedì 31 agosto 2010

"Il caffè sospeso"...piccoli gesti di NAPOLETANITA'


C'era un tempo, ai primi del 900' in cui a Napoli, tra i bar della città e la sua gente, si usava chiedere un "caffè sospeso".
Era un’abitudine consolidata soprattutto tra la gente del popolo. Chi andava al bar (per lo più l'aristocrazia e l'alta borghesia..ma anche chi,pur non essendo ricco,magari aveva avuto un periodo fortunato e disponeva di qualche soldo in più) per un caffè, ne pagava due e alla cassa diceva: "Uno sospeso!".
Il ”sospeso” era per chi non aveva soldi. Così, prima di sera, qualcuno, meno fortunato nella vita, passava e chiedeva: "C’è un sospeso per me?" avvicinandosi al bancone.

Lo stesso Luciano De Crescenzio intitola uno dei suoi libri "Il caffè sospeso" scrivendo così: "Quando un napoletano è felice per qualche ragione, invece di pagare un solo caffè, quello che berrebbe lui, ne paga due, uno per sé e uno per il cliente che viene dopo. È come offrire un caffè al resto del mondo..."

Un’usanza tutta partenopea che sarebbe profondamente sbagliato dimenticare.
Il semplice gesto racchiude in sè un sentimento di condivisione di problemi, comunicazione e comprensione:chi ha di più non dimentica chi ha di meno.
Superfluo sapere a chi si offre,basta il pensiero,il gesto nobile...la generosità che,da millenni,il napoletano verace porta con se.

Chissà se, oggi, il cittadino partenopeo si riconosce ancora in questo profondo senso di solidarietà, di nobilissima attenzione verso il prossimo...

Di recente e per l'esattezza il 3 maggio 2010, in occasione dei 150 anni dello storico bar napoletano " Il Gambrinus", si è offerto il caffè alla città.
"Chiunque chiedeva un caffè pagato al banco lo avrebbe avuto gratis. E’stato un atto d'amore nei confronti dei napoletani, un atto non solo pubblicitario,ma simbolico dell'antico costume napoletano,della generosità dei nostri avi, un modo per riproporre una storica e straordinaria usanza della nostra città, quella del caffè sospeso"

Viviamo in un'epoca talmente piena di insicurezze e di sfiducia verso il futuro e verso chi ci circonda, che è difficile anche pensare di offrire pochi eurocent, per un semplice caffè. Certo la realtà napoletana non aiuta ma se per un attimo ci si soffermasse a pensare a ciò che eravamo, alla nostra cultura, alle nostre tradizioni, forse non avremmo più timore dell'altro. Forse ci sentiremmo parte di un qualcosa di più grande, di un sentire che non ha euguali perchè solo qui, in questa Regione, tra questa gente, una simpatica smorfia, un grazie, un sorriso, un semplice gesto,una battuta colorata, rendono più piacevole la vita.
In disuso da qualche anno,questa nobile usanza, sembra che a Napoli, voglia riproporsi così da proseguire questa opera di “solidarietà”, ed è stata accolta anche da Firenze da una decina di bar anche famosi.

Una "pillola" di saggezza del grande Luciano De Crescenzo

Tratto da “Il caffè sospeso” :
- C'era una volta un contadino cinese al quale era scappato un cavallo. Tutti i vicini cercarono di consolarlo, ma il vecchio cinese, calmissimo, rispose: “E chi vi dice che sia una disgrazia?”. Accadde infatti che, il giorno dopo, proprio il cavallo che era sfuggito ritornasse spontaneamente alla fattoria, portandosi dietro altri cinque cavalli selvaggi. I vicini, allora, si precipitarono dal vecchio cinese per congratularsi con lui, ma questi li fermò dicendo: “E chi vi dice che sia una fortuna'”. Alcuni giorni dopo, il figlio del contadino, cavalcando uno di questi cavalli selvaggi, cadde e si ruppe una gamba. Nuove frasi di cordoglio dei vicini e solito commento del vecchio cinese: “E chi vi dice che sia una disgrazia?”. Manco a farlo apposta, infatti, scoppiò una guerra e l'unico a salvarsi fu proprio il figlio del contadino che, essendosi rotto una gamba, non era potuto partire per il fronte. Questa parabola non ha fine, e potremmo applicarla a molti eventi della nostra vita, pubblica e privata.


sabato 29 maggio 2010

domenica 25 aprile 2010

La resistenza a Napoli e Campania


Dal Film "Le quattro giornate di Napoli" di Nanni Loy

La Resistenza in Campania è simboleggiata soprattutto dal popolo di Napoli (compresi giovanissimi e donne) che dal 28 settembre al 1° ottobre 1943 insorse con le armi improvvisate di cui disponeva, sconfiggendo un esercito appoggiato da carri armati e artiglieria pesante. Durante l'insurrezione delle quattro giornate di Napoli morirono 152 patrioti combattenti, 140 tra la popolazione civile.
La Campania pagò duramente anche l'insurrezione di Scafati e poi la liberazione di Salerno, dove dal 2 aprile al 18 giugno 1944 venne costituito il primo governo di unità nazionale nell'Italia liberata. Questa regione subì anche la strage di Caiazzo, dove il 13 ottobre 1943 alcune famiglie di contadini - 23 persone tra uomini donne e bambini - furono mitragliate per ordine di un giovane ufficiale tedesco. Inoltre vide l'epopea di Cassino, epicentro della linea difensiva Gustav, che verrà distrutta e conquistata dalle truppe del generale polacco Wladislaw Anders.
Tra i principali episodi di lotta armata contro l'invasore va ricordata infine la battaglia di Montelungo in cui l'8 dicembre 1943, 500 soldati italiani dell'esercito ricostituito si lanciarono all'attacco, vennero decimati dall'artiglieria tedesca, ma infine con un ultimo attacco riuscirono il 16 dicembre a raggiungere l'obiettivo.
LE QUATTRO GIORNATE DI NAPOLI
L'insurrezione delle Quattro Giornate di Napoli, che permise la liberazione della città, nacque come reazione ai rastrellamenti dei tedeschi, che riuscirono ad internare 18.000 uomini, all'ordine di sgombero di tutta l'area occidentale cittadina, alla sistematica distruzione delle fabbriche e del porto, ma ebbe anche un significato politico e militare. Militare perché impegnò per più giorni e costrinse alla resa le forze tedesche che si erano rafforzate, politico perché nel corso della rivolta crebbero gli elementi di autorganizzazione, anche se non fu possibile creare un comando unificato. La presenza antifascista fu numerosa e significativa. Valga per tutti l'esempio di Antonio Tarsia in Curia che assunse la direzione del quartiere Vomero costituendo il Fronte Unico Rivoluzionario, il quale ebbe sede nel liceo Sannazzaro.
La storia

A parte il dolore della gente che aveva visto i loro figli partiti per il fronte (molti dei quali non fecero più ritorno a casa), i napoletani ebbero il vero impatto con la guerra solo il primo novembre del 1940, quando vi fu un bombardamento aereo inglese. Dal 1940 al 1944 Napoli fu fatta oggetto di più di cento indiscriminati bombardamenti che procurarono quasi 30000 morti. Due giorni infausti visse la città: il 4 dicembre 1942 ed il 28 marzo 1943; il primo, oltre ad ingenti danni e alla distruzione di Santa Chiara, provocò 3000 morti; il secondo fu dovuto allo scoppio della nave Caterina Costa. Questa nave, che era ancorata nel porto era sovraccarica di armi ed esplosivi ed era in partenza per l'Africa. Si sviluppò, a bordo, un tremendo incendio che i marinai non riuscirono a domare, per cui nel pomeriggio esplose provocando oltre 3000 feriti e 600 morti, l'esplosione fu immane, basti pensare che pezzi della nave furono rinvenuti sulla collina del Vomero.

Napoli, sventrata dai bombardamenti, s'era come svuotata, abbandonata da intere famiglie in fuga nelle campagne. Erano rimasti i rassegnati, gli indifferenti, i fascisti, e i disperati. Furono questi ultimi a ribellarsi, a passare dalla disperazione all'esasperazione per i soprusi nazisti, dopo l'occupazione della città.

«Anche qui, come nelle altre città, all'8 settembre le autorità militari non presero alcuna iniziativa per preparare un'efficace resistenza alle truppe tedesche, si rifiutarono di consegnare le armi ai napoletani che a mezzo dei rappresentanti i partiti antifascisti le chiedevano per organizzare la difesa, né seppero dare a quei comandi subalterni che le cercavano, delle direttive serie. Incredibile la risposta data dal Comandante la difesa territoriale di Napoli, generale Del Tetto al colonnello Barberini comandante del 2° reggimento artiglieria acquartierato nella caserma Scandigliano:
"Cercate di tergiversare, non irritate i tedeschi e trattate bene gli inglesi che stanno per arrivare".


Malgrado quest'insipienza che rasentava il tradimento, da parte degli alti comandi, l'occupazione tedesca della città non avvenne pacificamente. Il 10 e 1'11 settembre soldati e ufficiali italiani assieme a popolani resistettero tenacemente in alcuni fortilizi, costringendo il nemico a conquistare con le armi alcune caserme e la centrale telefonica.

I tedeschi erano ancora indecisi sul da farsi, temevano la rapida avanzata degli Alleati sbarcati a Salerno e, mentre cercavano di disarmare le truppe italiane, si preparavano ad abbandonare la città dandosi al saccheggio dei negozi. Numerosi furono gli episodi di resistenza. In via S. Brigida un carabiniere ed un gruppo di cittadini riuscirono a catturare alcuni militari tedeschi; il combattimento accesosi all'angolo di palazzo Salerno si allarga e raggiunge l'imbocco del tunnel della Vittoria ove sono parcheggiate diverse macchine nemiche. I tedeschi che si trovano nel palazzo reale sono fatti prigionieri; a piazza Plebiscito la battaglia si protrae per due ore, conflitti scoppiano anche in via Foria, a Porta Capuana, a piazza Umberto, in via Duomo, in via Chiaia, alla caserma Metropolitana, nel quartiere Vicaria. Uomini, donne, ragazzi, soldati e marinai danno prova in cento episodi di audacia e patriottismo.

Il 12 settembre i tedeschi decidono di sospendere i preparativi per la ritirata e di instaurare col terrore il loro pieno dominio sulla città. I contingenti della Va Armata sbarcati a Salerno l'8 settembre, erano riusciti si, a costituire una testa di ponte, ma non avevano colto di sorpresa i tedeschi che fecero affluire rapidamente delle formazioni corazzate per impedire la loro avanzata. Le unità alleate s'erano mosse lungo la strada turistica che da Salerno, Vietri, Cava dei Tirreni porta sino a Napoli; ma ai margini dell'Agro Nocerino erano state bloccate dalle forze tedesche e investite da una tempesta di fuoco e quindi costrette a retrocedere.

Il Comando tedesco pensò addirittura di riuscire a cacciare a mare gli americani e obbligarli a rimbarcarsi, comunque non doveva più temere una minaccia immediata su Napoli.

Un corriere da Berlino portò al comandante tedesco Scholl l'ordine di non lasciare la città e in caso di avanzata degli Alleati di non abbandonarla prima di averla ridotta "in cenere e fango". Nel pomeriggio del giorno stesso, il colonnello faceva avanzare una colonna motorizzata che, proveniente da Capodichino, penetrò in città sparando a zero sulle case e lungo le strade. L'ordine era di annientare gli ultimi caposaldi della resistenza italiana distruggendo, per rappresaglia, case e quartieri dove i patrioti si erano battuti.

Dopo alcuni minuti di bombardamento a scopo terroristico, gli unni penetrarono nelle case e cominciarono l'opera di saccheggio, di violenze e di distruzione. Gli abitanti venivano cacciati fuori, spogliati di ogni loro avere, incolonnati e costretti ad assistere all'incendio delle loro abitazioni.

Anche l'Università venne invasa e incendiata, distrutti migliaia di volumi. L'obbiettivo non era scelto a caso, i tedeschi sapevano che dopo il 25 luglio l'Università era divenuta uno dei centri di raccolta dell'antifascismo. Il professor Adolfo Omodeo il l° settembre, all'inaugurazione dell'anno accademico, aveva indirizzato agli studenti un appello nel quale tra l'altro era detto: "Studenti, in questo momento amaro, l'Università vi apre le braccia, i vostri maestri sono della generazione del Carso e del Piave."

Mentre l'opera vandalica si estendeva ai vicoli circostanti, altri reparti tedeschi saccheggiavano la caserma Zanzur che resisteva ancora, attaccavano le batterie contraeree italiane e la caserma dei carabinieri Pastrengo che furono sopraffatte dalle forze soverchianti. Particolarmente aspro fu il combattimento, impegnato dai tedeschi, contro il 21° Centro di avvistamento arroccato al Castel dell'Ovo. Gli artiglieri e i marinai italiani si difesero sino all'ultimo; i tedeschi furono costretti ad espugnare il forte con i cannoncini dei carri armati. Tratti prigionieri gli ultimi difensori, otto marinai e soldati furono fucilati di fronte al palazzo dell'Ammiragliato.

Domenica di sangue per i napoletani il 12 settembre ed anche il lunedì, nelle due giornate furono uccisi per le strade della città decine di militari italiani, 27 civili e 185 persone ricoverate negli ospedali. Oltre quattromila tra militari e cittadini vennero tratti prigionieri e immediatamente portati alla stazione per essere avviati alla deportazione ed al lavoro obbligatorio.

Il 13 settembre veniva pubblicato il drastico proclama emanato il giorno prima dal Comando tedesco:
1. Con provvedimento immediato ho assunto da oggi il Comando assoluto con pieni poteri della città di Napoli e dintorni.
2. Ogni singolo cittadino che si comporta calmo e disciplinato avrà la mia protezione. Chiunque però agisca apertamente o subdolamente contro le forze armate germaniche sarà passato per le armi. Inoltre il luogo del fatto e i dintorni immediati del nascondiglio dell'autore verranno distrutti e ridotti a rovine.
Ogni soldato germanico ferito o trucidato verrà rivendicato cento volte.
3. Ordino il coprifuoco dalle ore 20 alle ore 6. Solo in caso di allarme si potrà fare uso della strada per recarsi al ricovero vicino.
4. Esiste lo stato d'assedio.
5. Entro 24 ore dovranno essere consegnate tutte le armi e munizioni di qualsiasi genere, ivi compresi i fucili da caccia, le granate a mano, ecc. Chiunque, trascorso tale termine, verrà trovato in possesso di un'arma, verrà immediatamente passato per le armi. La consegna delle armi e munizioni si effettuerà alle ronde militari germaniche. [Erano indicate le località]
6. Cittadini mantenetevi calmi e siate ragionevoli. Questi ordini e le già eseguite rappresaglie si rendono necessarie perché un gran numero di soldati e ufficiali germanici che non facevano altro che adempiere ai propri doveri furono vilmente assassinati o gravemente feriti, anzi in alcuni casi i feriti anche vilipesi e maltrattati in modo indegno da parte di un popolo civile.
Napoli, 12 settembre 1943 firmato SCHOLL Colonnello» (1)


Vedersi ridotti alla condizione di schiavi, doversi nascondere per sopravvivere in una città dilaniata, per sottrarsi ai rastrellamenti e alle catture indiscriminate, per evitare quel servizio obbligatorio di lavoro che altro non era che l'anticamera della deportazione e dello sterminio: ecco, tutto questo insopportabile bagaglio di prevaricazioni determinò la svolta, aprì le porte agli eventi.

La rabbia dei nazisti per il fallimento del servizio obbligatorio venne espressa nel manifesto del 26 settembre emanato dal comandante Scholl, che gridava al sabotaggio e minacciava di fucilare all'istante i contravventori:

Al decreto per il servizio obbligatorio di lavoro hanno corrisposto in quattro sezioni della città complessivamente circa 150 persone, mentre secondo lo stato civile avrebbero dovuto presentarsi oltre 30.000 persone. Da ciò risulta il sabotaggio che viene praticato contro gli ordini delle Forze Armate Germaniche e del Ministero degli Interni Italiano. Incominciando da domani, per mezzo di ronde militari, farò fermare gli inadempienti. Coloro che non presentandosi sono contravvenuti agli ordini pubblicati, saranno dalle ronde senza indugio fucilati

Il Comandante di Napoli Scholl
Il giorno dopo, il 27 settembre, ebbe inizio la caccia all'uomo: le strade vennero bloccate e tutti gli uomini, senza limiti di età, furono caricati con la forza sui camion per essere avviati al lavoro forzato in Germania. A questo punto, per i napoletani non c'erano alternative: se volevano sfuggire alla deportazione dovevano combattere contro i tedeschi e impedire che attuassero i loro piani. Cosi, senza essere né preparata né organizzata, scoppiò l'insurrezione di Napoli, una risposta spontanea in cui erano presenti anche i partiti antifascisti ma senza avere quella funzione di guida che avranno invece durante la lotta partigiana. I napoletani uscirono allo scoperto nelle prime ore del 28 settembre: erano armati alla meglio, con vecchi fucili, pistole, bombe a mano, bottiglie incendiarie che avevano subito imparato a costruire e qualche mitragliatrice leggera nascosta nei giorni dell'armistizio. Altre armi se le procurarono combattendo. Tutto ciò sconcertò il comando tedesco che non si attendeva questa reazione.

La scintilla scoppiò al Vomero. Erano da poco passate le nove, quando al Vomero giunse la notizia che un marinaio era stato freddato con un colpo di pistola, mentre stava bevendo alla fontanella che si trova all’angolo di via Girardi, proprio di fronte all’Ospedale Militare. Una decina di giovanissimi, il più avanti con gli anni non aveva ancora vent’anni, stavano sorbendo il caffè al Bar Sangiuliano in Piazza Vanvitelli, quando… come un segnale convenuto uscirono di corsa dal bar e si precipitarono addosso ai tre tedeschi che occupavano una jepp di stanza nella Piazza, li costrinsero a scendere dall’auto e la incendiarono. I tedeschi approfittarono di questo momento per fuggire e dare l’allarme. Giunsero soldati in massa ma i giovani non desistettero e si rifugiarono nel Museo di San Martino, mentre la voce si spandeva sulla città come pioggia col sole. Fu un attimo. Tutte le strade che portavano fuori della città furono bloccate da suppellettili, che piovevano dalle finestre per ostruire il passaggio all’uscita come all’entrata.

Per quattro giorni, dal 28 settembre all'1 ottobre 1943, i napoletani scelsero la lotta aperta, imbracciarono le armi, eressero barricate, lanciarono bombe, tesero agguati, costringendo le truppe tedesche alla resa, alla fuga. Resistettero al nemico artisti, poeti, scrittori, anche Sergio Bruni, che diventerà il re della canzone napoletana, fu ferito.
Scontri tra insorti e tedeschi

Nel corso di queste quattro giornate, anche gli ufficiali dell'esercito italiano (spariti in un primo momento) e gli antifascisti si unirono ai sollevati e si misero alla loro testa.

Quanti presero le armi, vecchie armi italiane meno efficienti, meno micidiali di quelle tedesche (i fucili ’91 dell’altra guerra e perfino i moschetti dei balilla senza otturatori, che dovettero essere recuperati altrove), furono dunque qualche centinaio. Le azioni di scontro in ogni quartiere della città e soprattutto al Vomero, all’Arenella, a Capodimonte, a Ponticelli, infittite e protratte negli ultimi quattro giorni del settembre e nella mattinata del primo ottobre, furono decisive per affrettare l’abbandono della città da parte delle truppe tedesche proprio per la attiva solidarietà della popolazione con quel pugno di combattenti, che si moltiplicava in ogni punto della città.
I tedeschi avrebbero voluto ridurre l’abitato a cenere e fango, avevano minato, fatto saltare in aria, incendiato case, alberghi, battelli in mare, impianti di servizi, l’Archivio di Stato. Le distruzioni sarebbero state infinitamente maggiori se la popolazione non fosse coralmente insorta a sostenere i suoi studenti, i suoi operai, i suoi uomini più consapevoli nella lotta aperta.
Questo il bollettino delle 4 giornate: oltre 2.000 combattenti, 168 furono i patrioti caduti in combattimento, 162 i feriti, 140 le vittime tra i civili, 19 i morti non identificati, 162 i feriti, 75 gli invalidi permanenti.

Gli insorti napoletani festeggiano la liberazione

I tedeschi, all'alba del primo ottobre, si ritirarono (compiendo vili rappresaglie tra le popolazioni che incontravano sul loro cammino). Quando gli alleati entrarono in città, non trovarono un nemico che fosse uno. Napoli s'era liberata da sola.

Nel dopoguerra, oltre alla medaglia d’oro alla città di Napoli, furono conferire agli insorti 4 medaglie d’oro alla memoria, 6 d’argento e 3 di bronzo. Le medaglie d'oro furono assegnate ai quattro scugnizzi morti: Gennaro Capuozzo (12 anni), Filippo Illuminati (13 anni), Pasquale Formisano (17 anni) e Mario Menechini (18 anni). Medaglie d’argento alla memoria di Giuseppe Maenza e di Giacomo Lettieri; medaglie d’argento ai comandanti partigiani Antonino Tarsia, Stefano Fadda, Ezio Murolo, Giuseppe Sances; medaglie di bronzo a Maddalena Cerasuolo, Domenico Scognamiglio e Ciro Vasaturo.



(notizie tratte in parte da storianapoli.it)



Gli eccidi nazifascisti in Terra di lavoro

domenica 4 aprile 2010

La mitica pastiera napoletana


Currite, giuvinò! Ce stà 'a pastiera!"

E' nu sciore ca sboccia a primmavera,

e con inimitabile fragranza

soddisfa primm 'o naso,e dopp'a panza.

Pasqua senza pastiera niente vale:

è 'a Vigilia senz'albero 'e Natale,

è comm 'o Ferragosto senza sole.

Guagliò,chest'è 'a pastiera.Chi ne vuole?

Ll' ingrediente so' buone e genuine:

ova,ricotta,zucchero e farina

(e' o ggrano ca mmiscato all'acqua e' fiori

arricchisce e moltiplica i sapori).

'E ttruove facilmente a tutte parte:

ma quanno i' à fà l'imposto,ce vò ll'arte!

A Napule Partenope,'a sirena,

c'a pastiera faceva pranzo e cena.

Il suo grande segreto 'o ssai qual'è?

Stu dolce pò ghì pure annanz' o Rre.

E difatti ce jette. Alludo a quando

il grande Re Borbone Ferdinando

fece nu' monumento alla pastiera,

perchè facette ridere 'a mugliera.

Mò tiene voglia e ne pruvà na' fetta?

Fattèlla: ccà ce stà pur' a ricetta.

A può truvà muovendo un solo dito:

te serve pe cliccà ncopp ' a stu sito.

Màngiat sta pastiera,e ncopp' a posta

dimme cumm'era: aspetto na' risposta.

Che sarà certamente"Oj mamma mia!

Chest nunn'è nu dolce: è na' poesia!"

STORIA DELLA PASTIERA IN RIMA

A Napule regnava Ferdinando

Ca passava e' jurnate zompettiando;

Mentr' invece a' mugliera, 'Onna Teresa,

Steva sempe arraggiata. A' faccia appesa

O' musso luongo, nun redeva maje,

Comm'avess passate tanta guaje.

Nù bellu juorno Amelia, a' cammeriera

Le dicette: "Maestà, chest'è a' Pastiera.

Piace e' femmene, all'uommene e e'creature:

Uova, ricotta, grano, e acqua re ciure,

'Mpastata insieme o' zucchero e a' farina

A può purtà nnanz o'Rre: e pur' a Rigina".

Maria Teresa facett a' faccia brutta:

Mastecanno, riceva: "E' o'Paraviso!"

E le scappava pure o' pizz'a riso.

Allora o' Rre dicette: "E che marina!

Pe fa ridere a tte, ce vò a Pastiera?

Moglie mia, vien'accà, damme n'abbraccio!

Chistu dolce te piace? E mò c'o saccio

Ordino al cuoco che, a partir d'adesso,

Stà Pastiera la faccia un pò più spesso.

Nun solo a Pasca, che altrimenti è un danno;

pe te fà ridere adda passà n'at' anno!"

ORIGINI DELLA PASTIERA

La pastiera, forse, sia pure in forma rudimentale, accompagnò le feste pagane celebranti il ritorno della primavera, durante le quali le sacerdotesse di Cerere portavano in processione l'uovo, simbolo di vita nascente. Per il grano o il farro, misto alla morbida crema di ricotta, potrebbe derivare dal pane di farro delle nozze romane, dette appunto " confarratio ". Un'altra ipotesi la fa risalire alle focacce rituali che si diffusero all'epoca di Costantino il Grande, derivate dall'offerta di latte e miele, che i catecumeni ricevevano nella sacra notte di Pasqua al termine della cerimonia battesimale.
Nell'attuale versione, fu inventata probabilmente nella pace segreta di un monastero dimenticato napoletano. Un'ignota suora volle che in quel dolce, simbologia della Resurrezione, si unisse il profumo dei fiori dell'arancio del giardino conventuale. Alla bianca ricotta mescolò una manciata di grano, che, sepolto nella bruna terra, germoglia e risorge splendente come oro, aggiunse poi le uova, simbolo di nuova vita, l'acqua di mille fiori odorosa come la prima vera, il cedro e le aromatiche spezie venute dall'Asia.
È certo che le suore dell'antichissimo convento di San Gregorio Armeno erano reputate maestre nella complessa manipolazione della pastiera, e nel periodo pasquale ne confezionavano in gran numero per le mense delle dimore patrizie e della ricca borghesia.
Ogni brava massaia napoletana si ritiene detentrice dell'autentica, o della migliore, ricetta della pastiera. Ci sono, diciamo, due scuole: la più antica insegna a mescolare alla ricotta semplici uova sbattute; la seconda, decisamente innovatrice, raccomanda di mescolarvi una densa crema pasticciera che la rende più leggera e morbida, innovazione dovuta al dolciere-lattaio Starace con bottega in un angolo della Piazza Municipio non più esistente.
La pastiera va confezionata con un certo anticipo, non oltre il Giovedì o il Venerdì Santo, per dare agio a tutti gli aromi di cui è intrisa di bene amaIgamarsi in un unico e inconfondibile sapore. Appositi "ruoti" di ferro stagnato sono destinati a contenere la pastiera, che in essi viene venduta e anche servita, poiché è assai fragile e a sformarla si rischia di spappolarla irrimediabilmente.

LA LEGGENDA DELLA PASTIERA

Ancora più leggendaria e mitologica la storia della sirena Partenope che incantata dalla bellezza del golfo, disteso tra Posillipo ed il Vesuvio, avesse fissato lì la sua dimora. Ogni primavera la bella sirena emergeva dalle acque per salutare le genti felici che popolavano il golfo, allietandole con canti d'amore e di gioia.
Una volta la sua voce fu così melodiosa e soave che tutti gli abitanti ne rimasero affascinati e rapiti: accorsero verso il mare commossi dalla dolcezza del canto e delle parole d'amore che la sirena aveva loro dedicato. Per ringraziarla di un così grande diletto, decisero di offrirle quanto di più prezioso avessero.
Sette fra le più belle fanciulle dei villaggi furono incaricate di consegnare i doni alla bella Partenope: la farina, forza e ricchezza della campagna; la ricotta, omaggio di pastori e pecorelle; le uova, simbolo della vita che sempre si rinnova; il grano tenero, bollito nel latte, a prova dei due regni della natura; l'acqua di fiori d'arancio, perché anche i profumi della terra solevano rendere omaggio; le spezie, in rappresentanza dei popoli più lontani del mondo; infine lo zucchero, per esprimere l'ineffabile dolcezza profusa dal canto di Partenope in cielo, in terra, ed in tutto l'universo.
La sirena, felice per tanti doni, si inabissò per fare ritorno alla sua dimora cristallina e depose le offerte preziose ai piedi degli dei. Questi, inebriati anche essi dal soavissimo canto, riunirono e mescolarono con arti divine tutti gli ingredienti, trasformandoli nella prima Pastiera che superava in dolcezza il canto della stessa sirena.


Ingredienti per la pasta: per 12 persone:

una confezioni da 1 kg. di pasta frolla surgelata (se la vuoi fare in casa clicca qui)

gr. 700 di ricotta di pecora

gr. 400 di grano cotto (si trova in scatola nei supermercati, se non lo trovi clicca qui per sapere come cuocerlo da te, oppure lo puoi sostituire con: orzo perlato che va messo a bagno la sera prima e cotto per 30 minuti o del riso a chicco tondo per dolci cotto per circa 20 minuti)
gr. 600 di zucchero

1 limone

gr. 50 di cedro candito

gr. 50 di arancia candita

gr. 50 di zucca candita (si chiama"cucuzzata") oppure altri canditi misti

gr. 100 di latte

gr. 30 di burro o strutto

5 uova intere + 2 tuorli

una bustina di vaniglia

un cucchiaio di acqua di fiori d'arancio

pizzico di cannella (facoltativo)


Preparazione:

-Fate scongelare la pasta frolla a temperatura ambiente.

-Versate in una casseruola il grano cotto, il latte, il burro e la scorza grattugiata di 1 limone; lasciate cuocere per 10 minuti mescolando spesso finchè diventi crema.

-Frullate a parte la ricotta, lo zucchero, 5 uova intere più 2 tuorli, una bustina di vaniglia, un cucchiaio di acqua di fiori d'arancio, e un pizzico di cannella (facoltativo)

-Lavorare il tutto fino a rendere l'impasto molto sottile. Aggiungere una grattata di buccia di un limone e i canditi tagliati a dadi. Amalgamare il tutto con il grano.

-Prendete la pasta frolla scongelata, o quella fatta da voi e distendete l'impasto allo spessore di circa 1/2 cm con il mattarello e rivestite la teglia (c.a. 30 cm. di diametro) precedentemente imburrata, ritagliate la parte eccedente, ristendetela e ricavatene delle strisce.

-Versate il composto di ricotta nella teglia, livellatelo, ripiegate verso l'interno i bordi della pasta e decorate con strisce formando una grata che pennellerete con un tuorlo sbattuto.

-Infornate a 180 gradi per un'ora e mezzo finch'è la pastiera non avrà preso un colore ambrato; lasciate raffreddare e, prima di servire, spolverizzate con zucchero a velo.

P.S. Una volta cucinata la pastiera, può essere conservata in frigo anche per 4-5 giorni.

BUON LAVORO E BUONA PASQUA!

VARIANTI
PIZZA DI AMARENE (6/8 persone)

Preparare la crema con i tuorli di 3 uova, 50 gr. di farina, 400 cc. di latte, 150 gr. di zucchero e la buccia di un limone e lasciar raffreddare. Stendere i 2/3 di 500 gr. di pasta frolla e foderare una teglia unta di burro. Stendere a parte la pasta frolla rimasta . Fare uno strato con metà della crema, ricoprirlo con 250 gr. di confettura di amarene e aggiungere l'altra metà di di crema. Pareggiare bene il ripieno, coprirlo con il disco rimasto di pasta frolla e spennellarlo con un tuorlo di uovo sbattuto. Cuocere in forno a temperatura media per circa 40 minuti, fino quando la superficie della pasta sarà colorita. servire la pizza a temperatura ambiente cosparsa di zucchero a velo.



PASTIERA ALLA CREMA (8/10 persone)

Preparate la crema: mettete in un pentolino i tuorli di due uova e 60 gr. di zucchero e mescolate con la frusta o un cucchiaio di legno, fino a quando il tutto sarà diventato ben spumoso. Aggiungere 60 gr. di farina e, continuando a mescolare, unire 200 cc. di latte. Aggiungere infine la buccia di un limone, porre il pentolino sul fuoco a fiamma bassa e far addensare la crema mescolando sempre nello stesso senso. Una volta addensata togliere la buccia di limone. Preparare la pastiera come descritto nella ricetta principale, ma utilizzando 350 gr. di ricotta, 250 di zucchero, 50 cc. di latte, 2 uova , un tuorlo d'uovo, 50 cc. di acqua di fiori d'arancio e lasciando invariati gli altri ingredienti. Aggiungere la crema alla ricotta e cuocere come indicato nella ricetta principale.



TORTA CAPRESE (6 persone)

Sciogliere 150 gr. di cioccolato fondente in pezzi a bagnomaria e farlo intiepidire. Aggiungere 200 gr. di zucchero e amalgamare bene. Unire 200 gr. di mandorle tritate e i tuorli di 4 uova e mescolare bene il tutto. Montare a neve ben ferma gli albumi delle 4 uova e unirli delicatamente al composto di cioccolato. Versare il preparato in una tortiera di 16 cm di diametro imburrata e cuocere in forno preriscaldato a 170°c per 30 35 minuti. Togliere il dolce dal forno quando è ancora morbido, perchè raffreddandosi si rassoderà rimanendo però umido, quindi servire.

Ed ecco le dolenti note: CALORIE
E' un dolce tipico della tradizione gastronomica napoletana. Gustato sopratutto nel periodo pasquale. Contiene numerosi ingredienti ed è caratteristico per la presenza di ricotta. Inoltre troviamo: farina, zucchero, latte, uova, burro, cedro candito, scorza d'arancia, canditi, sale. Mediamente l'apporto calorico per 100 gr. di pastiera si aggira tra 360-400 calorie.

Calorie per 100 gr. di pastiera:
lipidi 15-20 gr.
glucidi 45-50 gr.
protidi 15-20 gr
calorie 360-400 Kcal
Fonte : http://www.calorie.it
MA VALE LA PENA GUSTARLA ANCHE RINUNCIANDO,MAGARI, A QUALCHE ALTRA PORTATA, OPPURE, CI SI METTE IN RIGA IL GIORNO DOPO!

Anche questi consigli del video portano allo stesso risultato ... ed in più godetevi questo divertentissimo brano di canzone napoletana




La ricetta in lingua inglese Qui
The recipe in English here

lunedì 15 febbraio 2010

Carnevale a Napoli e Campania

Notizie sulla maschera di Pulcinella (Pullecenella) clicca
La parola Carnevale deriva dal volgare e significa "carne levare" riguardo al fatto che con il "carnevale" s'indicano i festeggiamenti, che precedono l'inizio della Quaresima quando poi è vietato mangiare carne.
Il primo giorno del Carnevale è fissato in base alle prescrizioni ecclesiastiche.
L'inizio può essere il 1°gennaio, il 17 gennaio (S.Antonio) o il 2 febbraio (festa della Candelora), e si protrae fino al mercoledì delle Ceneri (nel rito ambrosiano, fino alla prima domenica di Quaresima).Le prime notizie del Carnevale napoletano ci giungono attraverso l'opera di Giovan Battista del Tufo,che era un nobile napoletano che inserì nel suo "Ritratto o modello delle grandezze, delle letizie e meraviglie della nobilissima città di Napoli" una serie di poesie che riguardavano anche il Carnevale napoletano e che facevano riferimento a cavalieri ben vestiti e a piccoli carri.
I Napoletani, un tempo non troppo lontano, erano dediti a dare maggiore risalto al "Loro" personalissimo carnevale settembrino, con i famosi carri allegorici della Piedigrotta, una festa voluta dai regnanti Borboni, e perché no anche da alcuni piatti tipici che si potevano gustare in questo periodo dell'anno.
La cucina napoletana carnevalesca è varia, divertente, colorata e va dalla preparazione di alcuni dolci tradizionali alla realizzazione di alcuni piatti davvero unici.
--------------------------------------------------------------------------------

La cucina di Carnevale


Domina tra i primi piatti da realizzare a carnevale la lasagna. Quando arriva il carnevale Napoli si fa a gara a chi prepara la migliore lasagna. La preparazione e' molto elaborata ed il giorno in cui la si serve diventa una festa e se ne continua a parlare fino al giorno dopo cioe' le ceneri, quando si comincia il "digiuno e l'astinenza".
La preparazione di questo piatto richiede tempo e fatica tanto che, un tempo, il giorno della lasagna diventava un vero e proprio giorno di festa ed al pranzo venivano invitati parenti ed amici. Per seconda e terza portata tipica è la carne mista al ragù. Per questa portata si utilizzano le gallinelle di maiale e le puntine di costata che sono state utilizzate per il ragù che può essere arricchito, soprattutto se vi saranno ospiti per il cenone di Carnevale, anche dalle braciole di maiale di maiale uno dei piatti più prelibati della cucina napoletana.
Fra una chiacchiera ed un'altra arrivano a tavola i fegatini arrostiti ( sebbene siano ottimi anche fritti nella sugna) accompagnati dai deliziosi friarielli. .Dopo questa portata, prima della frutta, in tavola giungeva un trionfo di salumi ancora piuttosto freschi, intoccabili dopo quel giorno fino al Sabato Santo, quando la campane venivano sciolte e suonavano a gloria annunciando la fine della quaresima e la resurrezione di Cristo.
Si giunge così alla frutta ed al gran finale che avviene con l'arrivo a tavola dei dolci accompagnati dal fiabesco sanguinaccio che oggi non è più possibile realizzare come un tempo per il divieto, nel 1992, inflitto ai macellai di vendere il sangue.Tra i dolci carnevalesci della tradizione napoletana vanno ricordati:Gli struffoli, dolce napoletano che viene guarnito con "cannulilli" e "diavulilli" colorati, quasi a voler significare l'innata allegria e il folclore tipici di questo popolo, ai quali, in origine, erano attribuite proprietà energetiche.Le zeppole.che sono un dolce che si ritrova nominato in antichi testi, non solo di cucina, perfino in un "Privilegio"del Viceré di Napoli, Conte di Ripacorsa (siamo nella Napoli dell'800).
Si narra che il giorno di San Giuseppe, che si festeggia il 19 Marzo, i friggitori napoletani si esibivano pubblicamente nell'arte del friggere le Zeppole davanti alla propria bottega, disponendovi tutto l'armamentario necessario.E infine vanno ricordate le deliziose chiacchiere che sono un dolce tipico in tutta l'Italia ma con nomi diversi: in Friuli si chiamano Grostoli, in Emilia Sfrappole, in Veneto Galani, nelle Marche Frappe, Cenci in Toscana, Chiacchiere in Campania. La variante, nelle varie ricette regionali, è costituita dal marsala, o dal vino bianco, o dall'acquavite, o dal liquore all'anice.
--------------------------------------------------------------------------------
Qualche ricetta:
PRIMI E SECONDI PIATTI
La lasagna

martedì 5 gennaio 2010

Il gioco del lotto a Napoli e Campania







Un Po’ Di Storia…

Napoli paese di magia, di superstizioni e numeri ha un forte legame con il gioco del lotto, e sebbene tale gioco si è diffuso tardi nella nostra città, solo nel 1682, Napoli è pur sempre stata considerata la capitale del banco lotto.

Il gioco del lotto è nato a Genova nel 1539 dalle scommesse illegali che si facevano sui novanta nomi dei candidati che sarebbero usciti dalle urne per le elezioni al Senato e da allora nei secoli a seguire è stato fortemente ostacolato dalla Chiesa e dalle autorità governative in quanto ritenuto un gioco pericoloso e immorale. Persino noti personaggi storici lo abolirono, tra cui Vittorio Amedeo II nel 1713 e Giuseppe Garibaldi nel 1860. Ma, successivamente per far fronte alla continua crisi finanziaria il governo decise di legalizzarlo per trarne i dovuti profitti e dal 1817 fu stabilito che le estrazioni avvenissero ogni sabato.

Oggi il gioco del lotto è regolato dal Ministero delle Finanze , oggi dell' Economia

Cultura, Leggende e Fatalismo…

In campo letterario il gioco del lotto è stato aspramente condannato da molti scrittori per lo più di origine partenopea, specie dalla scrittrice e giornalista Matilde Serao (1856-1927), nata in Grecia ma di origini napoletane da parte di padre.
Da grande osservatrice della cultura partenopea la Serao nel suo capolavoro Il paese di cuccagna (1891) esamina tutti i mali morali, sociali, economici e psicologici che il gioco del lotto ha apportato presso la società napoletana. Esso più che arricchire un povero uomo in beni materiali finisce col fargli perdere tutto ciò che possiede, poiché egli sfidando la propria sorte e sperando di essere sostenuto dalla Dea Bendata per una eventuale vincita punta tutti i suoi beni in assurde scommesse. La scrittrice dunque riprende il discorso già affrontato in una sua precedente opera Il ventre di Napoli (1884), dove dedica ben due capitoli al gioco del lotto e rivela che: “Il lotto è il largo sogno, che consola la fantasia napoletana: è l’idea fissa di quei cervelli infuocati; è la grande visione felice che appaga la gente oppressa; è la vasta allucinazione che si prende le anime. […] Il popolo napoletano, che è sobrio, non si corrompe per l’acquavite, non muore di delirium tremens; esso si corrompe e muore pel lotto. Il lotto è l’acquavite di Napoli.”
Il gioco del lotto di conseguenza va inteso come la “fabbrica dei sogni” per il popolo partenopeo e non, in momenti di difficoltà economica si ricorre spesso a questo gioco con la speranza che una bella vincita possa far cambiare in meglio la vita del giocatore. Diventa dunque un po’ il gioco del “paese dei balocchi”; il gioco associato alla speranza di una grossa vincita che permette di sognare e fantasticare l’impossibile… Specie ai tempi tristi e magri delle due Grandi Guerre mondiale, gli italiani all’epoca speravano maggiormente di arricchirsi coi numeri al lotto per poter così sfuggire da una cruda e meschina realtà, ricca di violenza e di dolore.

Stando all’antica tradizione il popolo partenopeo ricorre frequentemente alla smorfia o alla cabala del lotto per interpretarne i sogni, i segni più vari o le lettere dell’alfabeto a cui vengono assegnati per l’appunto uno o più significati numerici, e da essi poi si ricavano i numeri corrispondenti per giocarli al lotto.
La kabbala deriva dall’etimologia ebraica qabbalah che significa tradizione e trae origine dalle correnti mistiche, filosofiche e teologiche ebraiche. Oltre al gioco del lotto, abbiamo tanti altri giochi tipici: Superenalotto, gratta e vinci, totocalcio, totogol, lotterie varie, il bingo e la tombola napoletana (definita da Luca Torre “lotto casereccio”); tipico gioco natalizio basato sull’estrazione dei 90 numeri per la realizzazione dell’ambo, terno, quaterna, cinquina e tombola.
Ad ogni numero come consuetudine corrisponde una leggenda, una storia, una figura o addirittura un santo, basti ricordare i numeri più noti: 8 “ ‘a Madonna”; 13 “Sant'Antonio”; 33 “ll'Anne 'e Cristo” (Gli anni di Cristo); 48 "'O muorto che parla" (Il morto che parla); 57 ‘O scartellato (Il gobbo); 71 "l'omme e merda (l'uomo da niente,persona di bassa caratura morale); 37 “‘O munaciello” (il monaco).
Sulla natura del munaciello esiste una leggenda folkloristica napoletana che narra di un piccolo monaco alla cui entità sono stati attribuiti vasti poteri magici.
Alcuni tradizionalisti ritengono che a secondo delle circostanze lo spiritello possa assumere o atteggiamenti maligni e dispettosi o atteggiamenti benigni e propiziatori; egli può presentarsi alle persone anche in veste umana, ossia come un bambino nano con sembianze da vecchio mostruoso.
La storia e la tradizione dice anche che ....Era l'anno 1734 e il re di Napoli Carlo III di Borbone era deciso ad ufficializzare nel suo Regno il gioco del Lotto che, se mantenuto in modo clandestino, avrebbe sottratto entrate alle casse dello Stato. A ciò si opponeva il frate domenicano Gregorio Maria Rocco, perciò tra il sovrano e il frate scoppiò una violenta disputa.Padre Rocco, legato al re da un rapporto di amore odio, diceva che non era giusto introdurre un "così ingannevole ed amorale diletto" in un paese in cui si cercava sempre di rispettare gli insegnamenti cattolici.Alla fine, però, Carlo III, facendo presente che il lotto, se giocato di nascosto, sarebbe stato più pericoloso per le povere tasche dei sudditi, riuscì a spuntarla, ad un patto però, che il gioco del lotto, almeno nella settimana delle festività del Natale, sarebbe stato sospeso. In quei giorni il gioco, insomma, non poteva distrarre il popolo dalle preghiere. Ma il popolo subito pensò di organizzarsi per proprio conto. I novanta numeri del lotto furono messi in "panarielli" di vimini e, per divertirsi in attesa della mezzanotte, ciascuno provvide a disegnare numeri sulle cartelle. Così la fantasia popolare riuscì a trasformare un gioco pubblico in un gioco familiare, che prese il nome di tombola dalla forma cilindrica del numero impresso nel legno e dal capitombolo che fa lo stesso numero nel cadere sul tavolo dal panariello che, una volta, aveva la forma di tombolo. Ad ognuno dei novanta numeri della tombola fu attribuito un simbolo diverso da regione a regione. I simboli della tombola napoletana sono quasi tutti allusivi, alcuni anche piuttosto scurrili. Si può, dunque, affermare che la tombola è figlia del lotto, ma soprattutto della fantasia del popolo napoletano.


'La parola tombola
Secondo alcuni verrebbe da tombolare (roteare o far capitombolare i numeri nel paniere), secondo altri verrebbe da tumulo (forse per la forma piramidale del paniere). La tombola è figlia di tante mamme: la cabala, la smorfia, la lotteria, il lotto e… la fantasia popolare.
La tombola è un gioco familiar/d'azzardo basato su 90 numeri, che si può praticare con pochi semplici strumenti:
Un grosso cartellone (o tabellone) suddiviso in 90 caselle (9 righe di 10 colonne) numerate da 1 a 90;
Ventiquattro piccole cartelle, ognuna delle quali con 27 caselle (3 righe di 9 colonne), su ogni riga ci sono 5 caselle occupate da numeri a caso più altre 4 bianche. Ogni cartella ha una combinazione di numeri diversa dalle altre;
Un paniere (in alternativa si può utilizzare un sacchetto opaco) contenente 90 pedine (tasselli di legno o di plastica) numerate da 1 a 90
Inizialmente - di comune accordo - i partecipanti stabiliscono il costo della cartella che può variare comunque perchè trattasi di gioco ,per lo più familiare o tra amici , la posta in gioco non è mai molto alta. Ognuno compra (versa la sua posta nelle casse del gioco, fa la sua puntata) una, due o più cartelle (il tabellone equivale a 6 cartelle).
Quindi - sempre di comune accordo - i partecipanti stabiliscono la ripartizione della posta e il premio viene così così suddiviso secondo la somma raggiunta dalle puntate

Tombola (quando escono tutti e quindici i numeri di una cartella)


Cinquina o quintina (quando escono cinque numeri sulla stessa riga)


Quaterna (quando escono quattro numeri sulla stessa riga)


Terno (quando escono tre numeri sulla stessa riga)


Ambo (quando escono due numeri sulla stessa riga)


A volte può essere premiato anche il primo estratto.


Tutti i partecipanti - a turno - comprano il cartellone e fungono da capogioco.
Il capogioco è colui che (una alla volta) estrae le pedine numerate dal paniere, le annuncia ai partecipanti e le colloca sul tabellone che tiene - ben in vista - davanti a se.
I giocatori, ad ogni estrazione, se quel numero compare sulle loro cartelle, collocano sulla relativa casella un contrassegno (per tradizione - a Napoli - si usano i fagioli secchi), badando alle righe dove si vengono allineando più numeri (ambo, terno, ecc.).
Ogni qualvolta un giocatore (compreso il capogioco) si accorge di aver fatto una combinazione vincente la annuncia e si aggiudica il premio stabilito. Nel caso due o più partecipanti annunciano contemporaneamente di aver fatto ambo (o terno, ecc.) il premio viene equamente suddiviso.
Quando qualcuno annuncia di aver fatto tombola, gli si chiede di chiamare i numeri, il capogioco controlla sul tabellone e, se corrispondono, gli si consegna il primo premio.
Poi si ricomincia il tutto: puntata, ripartizione della posta e passata di mano del cartellone e del paniere. Se uno dei partecipanti non vuole essere capogioco può passare la mano al prossimo giocatore.
Si tratta di un gioco molto colorato ... specie quando si enunciano i numeri ... si fanno battute spesso molto allusive all'erotismo dell'uomo provocato o suscitato dalla donna ... ma anche a situazioni grottesche!






Due brani divertentissimi!!!:DDDDDD












Tutti i simboli e le figure della TOMBOLA NAPOLETANA QUI