domenica 25 aprile 2010

La resistenza a Napoli e Campania


Dal Film "Le quattro giornate di Napoli" di Nanni Loy

La Resistenza in Campania è simboleggiata soprattutto dal popolo di Napoli (compresi giovanissimi e donne) che dal 28 settembre al 1° ottobre 1943 insorse con le armi improvvisate di cui disponeva, sconfiggendo un esercito appoggiato da carri armati e artiglieria pesante. Durante l'insurrezione delle quattro giornate di Napoli morirono 152 patrioti combattenti, 140 tra la popolazione civile.
La Campania pagò duramente anche l'insurrezione di Scafati e poi la liberazione di Salerno, dove dal 2 aprile al 18 giugno 1944 venne costituito il primo governo di unità nazionale nell'Italia liberata. Questa regione subì anche la strage di Caiazzo, dove il 13 ottobre 1943 alcune famiglie di contadini - 23 persone tra uomini donne e bambini - furono mitragliate per ordine di un giovane ufficiale tedesco. Inoltre vide l'epopea di Cassino, epicentro della linea difensiva Gustav, che verrà distrutta e conquistata dalle truppe del generale polacco Wladislaw Anders.
Tra i principali episodi di lotta armata contro l'invasore va ricordata infine la battaglia di Montelungo in cui l'8 dicembre 1943, 500 soldati italiani dell'esercito ricostituito si lanciarono all'attacco, vennero decimati dall'artiglieria tedesca, ma infine con un ultimo attacco riuscirono il 16 dicembre a raggiungere l'obiettivo.
LE QUATTRO GIORNATE DI NAPOLI
L'insurrezione delle Quattro Giornate di Napoli, che permise la liberazione della città, nacque come reazione ai rastrellamenti dei tedeschi, che riuscirono ad internare 18.000 uomini, all'ordine di sgombero di tutta l'area occidentale cittadina, alla sistematica distruzione delle fabbriche e del porto, ma ebbe anche un significato politico e militare. Militare perché impegnò per più giorni e costrinse alla resa le forze tedesche che si erano rafforzate, politico perché nel corso della rivolta crebbero gli elementi di autorganizzazione, anche se non fu possibile creare un comando unificato. La presenza antifascista fu numerosa e significativa. Valga per tutti l'esempio di Antonio Tarsia in Curia che assunse la direzione del quartiere Vomero costituendo il Fronte Unico Rivoluzionario, il quale ebbe sede nel liceo Sannazzaro.
La storia

A parte il dolore della gente che aveva visto i loro figli partiti per il fronte (molti dei quali non fecero più ritorno a casa), i napoletani ebbero il vero impatto con la guerra solo il primo novembre del 1940, quando vi fu un bombardamento aereo inglese. Dal 1940 al 1944 Napoli fu fatta oggetto di più di cento indiscriminati bombardamenti che procurarono quasi 30000 morti. Due giorni infausti visse la città: il 4 dicembre 1942 ed il 28 marzo 1943; il primo, oltre ad ingenti danni e alla distruzione di Santa Chiara, provocò 3000 morti; il secondo fu dovuto allo scoppio della nave Caterina Costa. Questa nave, che era ancorata nel porto era sovraccarica di armi ed esplosivi ed era in partenza per l'Africa. Si sviluppò, a bordo, un tremendo incendio che i marinai non riuscirono a domare, per cui nel pomeriggio esplose provocando oltre 3000 feriti e 600 morti, l'esplosione fu immane, basti pensare che pezzi della nave furono rinvenuti sulla collina del Vomero.

Napoli, sventrata dai bombardamenti, s'era come svuotata, abbandonata da intere famiglie in fuga nelle campagne. Erano rimasti i rassegnati, gli indifferenti, i fascisti, e i disperati. Furono questi ultimi a ribellarsi, a passare dalla disperazione all'esasperazione per i soprusi nazisti, dopo l'occupazione della città.

«Anche qui, come nelle altre città, all'8 settembre le autorità militari non presero alcuna iniziativa per preparare un'efficace resistenza alle truppe tedesche, si rifiutarono di consegnare le armi ai napoletani che a mezzo dei rappresentanti i partiti antifascisti le chiedevano per organizzare la difesa, né seppero dare a quei comandi subalterni che le cercavano, delle direttive serie. Incredibile la risposta data dal Comandante la difesa territoriale di Napoli, generale Del Tetto al colonnello Barberini comandante del 2° reggimento artiglieria acquartierato nella caserma Scandigliano:
"Cercate di tergiversare, non irritate i tedeschi e trattate bene gli inglesi che stanno per arrivare".


Malgrado quest'insipienza che rasentava il tradimento, da parte degli alti comandi, l'occupazione tedesca della città non avvenne pacificamente. Il 10 e 1'11 settembre soldati e ufficiali italiani assieme a popolani resistettero tenacemente in alcuni fortilizi, costringendo il nemico a conquistare con le armi alcune caserme e la centrale telefonica.

I tedeschi erano ancora indecisi sul da farsi, temevano la rapida avanzata degli Alleati sbarcati a Salerno e, mentre cercavano di disarmare le truppe italiane, si preparavano ad abbandonare la città dandosi al saccheggio dei negozi. Numerosi furono gli episodi di resistenza. In via S. Brigida un carabiniere ed un gruppo di cittadini riuscirono a catturare alcuni militari tedeschi; il combattimento accesosi all'angolo di palazzo Salerno si allarga e raggiunge l'imbocco del tunnel della Vittoria ove sono parcheggiate diverse macchine nemiche. I tedeschi che si trovano nel palazzo reale sono fatti prigionieri; a piazza Plebiscito la battaglia si protrae per due ore, conflitti scoppiano anche in via Foria, a Porta Capuana, a piazza Umberto, in via Duomo, in via Chiaia, alla caserma Metropolitana, nel quartiere Vicaria. Uomini, donne, ragazzi, soldati e marinai danno prova in cento episodi di audacia e patriottismo.

Il 12 settembre i tedeschi decidono di sospendere i preparativi per la ritirata e di instaurare col terrore il loro pieno dominio sulla città. I contingenti della Va Armata sbarcati a Salerno l'8 settembre, erano riusciti si, a costituire una testa di ponte, ma non avevano colto di sorpresa i tedeschi che fecero affluire rapidamente delle formazioni corazzate per impedire la loro avanzata. Le unità alleate s'erano mosse lungo la strada turistica che da Salerno, Vietri, Cava dei Tirreni porta sino a Napoli; ma ai margini dell'Agro Nocerino erano state bloccate dalle forze tedesche e investite da una tempesta di fuoco e quindi costrette a retrocedere.

Il Comando tedesco pensò addirittura di riuscire a cacciare a mare gli americani e obbligarli a rimbarcarsi, comunque non doveva più temere una minaccia immediata su Napoli.

Un corriere da Berlino portò al comandante tedesco Scholl l'ordine di non lasciare la città e in caso di avanzata degli Alleati di non abbandonarla prima di averla ridotta "in cenere e fango". Nel pomeriggio del giorno stesso, il colonnello faceva avanzare una colonna motorizzata che, proveniente da Capodichino, penetrò in città sparando a zero sulle case e lungo le strade. L'ordine era di annientare gli ultimi caposaldi della resistenza italiana distruggendo, per rappresaglia, case e quartieri dove i patrioti si erano battuti.

Dopo alcuni minuti di bombardamento a scopo terroristico, gli unni penetrarono nelle case e cominciarono l'opera di saccheggio, di violenze e di distruzione. Gli abitanti venivano cacciati fuori, spogliati di ogni loro avere, incolonnati e costretti ad assistere all'incendio delle loro abitazioni.

Anche l'Università venne invasa e incendiata, distrutti migliaia di volumi. L'obbiettivo non era scelto a caso, i tedeschi sapevano che dopo il 25 luglio l'Università era divenuta uno dei centri di raccolta dell'antifascismo. Il professor Adolfo Omodeo il l° settembre, all'inaugurazione dell'anno accademico, aveva indirizzato agli studenti un appello nel quale tra l'altro era detto: "Studenti, in questo momento amaro, l'Università vi apre le braccia, i vostri maestri sono della generazione del Carso e del Piave."

Mentre l'opera vandalica si estendeva ai vicoli circostanti, altri reparti tedeschi saccheggiavano la caserma Zanzur che resisteva ancora, attaccavano le batterie contraeree italiane e la caserma dei carabinieri Pastrengo che furono sopraffatte dalle forze soverchianti. Particolarmente aspro fu il combattimento, impegnato dai tedeschi, contro il 21° Centro di avvistamento arroccato al Castel dell'Ovo. Gli artiglieri e i marinai italiani si difesero sino all'ultimo; i tedeschi furono costretti ad espugnare il forte con i cannoncini dei carri armati. Tratti prigionieri gli ultimi difensori, otto marinai e soldati furono fucilati di fronte al palazzo dell'Ammiragliato.

Domenica di sangue per i napoletani il 12 settembre ed anche il lunedì, nelle due giornate furono uccisi per le strade della città decine di militari italiani, 27 civili e 185 persone ricoverate negli ospedali. Oltre quattromila tra militari e cittadini vennero tratti prigionieri e immediatamente portati alla stazione per essere avviati alla deportazione ed al lavoro obbligatorio.

Il 13 settembre veniva pubblicato il drastico proclama emanato il giorno prima dal Comando tedesco:
1. Con provvedimento immediato ho assunto da oggi il Comando assoluto con pieni poteri della città di Napoli e dintorni.
2. Ogni singolo cittadino che si comporta calmo e disciplinato avrà la mia protezione. Chiunque però agisca apertamente o subdolamente contro le forze armate germaniche sarà passato per le armi. Inoltre il luogo del fatto e i dintorni immediati del nascondiglio dell'autore verranno distrutti e ridotti a rovine.
Ogni soldato germanico ferito o trucidato verrà rivendicato cento volte.
3. Ordino il coprifuoco dalle ore 20 alle ore 6. Solo in caso di allarme si potrà fare uso della strada per recarsi al ricovero vicino.
4. Esiste lo stato d'assedio.
5. Entro 24 ore dovranno essere consegnate tutte le armi e munizioni di qualsiasi genere, ivi compresi i fucili da caccia, le granate a mano, ecc. Chiunque, trascorso tale termine, verrà trovato in possesso di un'arma, verrà immediatamente passato per le armi. La consegna delle armi e munizioni si effettuerà alle ronde militari germaniche. [Erano indicate le località]
6. Cittadini mantenetevi calmi e siate ragionevoli. Questi ordini e le già eseguite rappresaglie si rendono necessarie perché un gran numero di soldati e ufficiali germanici che non facevano altro che adempiere ai propri doveri furono vilmente assassinati o gravemente feriti, anzi in alcuni casi i feriti anche vilipesi e maltrattati in modo indegno da parte di un popolo civile.
Napoli, 12 settembre 1943 firmato SCHOLL Colonnello» (1)


Vedersi ridotti alla condizione di schiavi, doversi nascondere per sopravvivere in una città dilaniata, per sottrarsi ai rastrellamenti e alle catture indiscriminate, per evitare quel servizio obbligatorio di lavoro che altro non era che l'anticamera della deportazione e dello sterminio: ecco, tutto questo insopportabile bagaglio di prevaricazioni determinò la svolta, aprì le porte agli eventi.

La rabbia dei nazisti per il fallimento del servizio obbligatorio venne espressa nel manifesto del 26 settembre emanato dal comandante Scholl, che gridava al sabotaggio e minacciava di fucilare all'istante i contravventori:

Al decreto per il servizio obbligatorio di lavoro hanno corrisposto in quattro sezioni della città complessivamente circa 150 persone, mentre secondo lo stato civile avrebbero dovuto presentarsi oltre 30.000 persone. Da ciò risulta il sabotaggio che viene praticato contro gli ordini delle Forze Armate Germaniche e del Ministero degli Interni Italiano. Incominciando da domani, per mezzo di ronde militari, farò fermare gli inadempienti. Coloro che non presentandosi sono contravvenuti agli ordini pubblicati, saranno dalle ronde senza indugio fucilati

Il Comandante di Napoli Scholl
Il giorno dopo, il 27 settembre, ebbe inizio la caccia all'uomo: le strade vennero bloccate e tutti gli uomini, senza limiti di età, furono caricati con la forza sui camion per essere avviati al lavoro forzato in Germania. A questo punto, per i napoletani non c'erano alternative: se volevano sfuggire alla deportazione dovevano combattere contro i tedeschi e impedire che attuassero i loro piani. Cosi, senza essere né preparata né organizzata, scoppiò l'insurrezione di Napoli, una risposta spontanea in cui erano presenti anche i partiti antifascisti ma senza avere quella funzione di guida che avranno invece durante la lotta partigiana. I napoletani uscirono allo scoperto nelle prime ore del 28 settembre: erano armati alla meglio, con vecchi fucili, pistole, bombe a mano, bottiglie incendiarie che avevano subito imparato a costruire e qualche mitragliatrice leggera nascosta nei giorni dell'armistizio. Altre armi se le procurarono combattendo. Tutto ciò sconcertò il comando tedesco che non si attendeva questa reazione.

La scintilla scoppiò al Vomero. Erano da poco passate le nove, quando al Vomero giunse la notizia che un marinaio era stato freddato con un colpo di pistola, mentre stava bevendo alla fontanella che si trova all’angolo di via Girardi, proprio di fronte all’Ospedale Militare. Una decina di giovanissimi, il più avanti con gli anni non aveva ancora vent’anni, stavano sorbendo il caffè al Bar Sangiuliano in Piazza Vanvitelli, quando… come un segnale convenuto uscirono di corsa dal bar e si precipitarono addosso ai tre tedeschi che occupavano una jepp di stanza nella Piazza, li costrinsero a scendere dall’auto e la incendiarono. I tedeschi approfittarono di questo momento per fuggire e dare l’allarme. Giunsero soldati in massa ma i giovani non desistettero e si rifugiarono nel Museo di San Martino, mentre la voce si spandeva sulla città come pioggia col sole. Fu un attimo. Tutte le strade che portavano fuori della città furono bloccate da suppellettili, che piovevano dalle finestre per ostruire il passaggio all’uscita come all’entrata.

Per quattro giorni, dal 28 settembre all'1 ottobre 1943, i napoletani scelsero la lotta aperta, imbracciarono le armi, eressero barricate, lanciarono bombe, tesero agguati, costringendo le truppe tedesche alla resa, alla fuga. Resistettero al nemico artisti, poeti, scrittori, anche Sergio Bruni, che diventerà il re della canzone napoletana, fu ferito.
Scontri tra insorti e tedeschi

Nel corso di queste quattro giornate, anche gli ufficiali dell'esercito italiano (spariti in un primo momento) e gli antifascisti si unirono ai sollevati e si misero alla loro testa.

Quanti presero le armi, vecchie armi italiane meno efficienti, meno micidiali di quelle tedesche (i fucili ’91 dell’altra guerra e perfino i moschetti dei balilla senza otturatori, che dovettero essere recuperati altrove), furono dunque qualche centinaio. Le azioni di scontro in ogni quartiere della città e soprattutto al Vomero, all’Arenella, a Capodimonte, a Ponticelli, infittite e protratte negli ultimi quattro giorni del settembre e nella mattinata del primo ottobre, furono decisive per affrettare l’abbandono della città da parte delle truppe tedesche proprio per la attiva solidarietà della popolazione con quel pugno di combattenti, che si moltiplicava in ogni punto della città.
I tedeschi avrebbero voluto ridurre l’abitato a cenere e fango, avevano minato, fatto saltare in aria, incendiato case, alberghi, battelli in mare, impianti di servizi, l’Archivio di Stato. Le distruzioni sarebbero state infinitamente maggiori se la popolazione non fosse coralmente insorta a sostenere i suoi studenti, i suoi operai, i suoi uomini più consapevoli nella lotta aperta.
Questo il bollettino delle 4 giornate: oltre 2.000 combattenti, 168 furono i patrioti caduti in combattimento, 162 i feriti, 140 le vittime tra i civili, 19 i morti non identificati, 162 i feriti, 75 gli invalidi permanenti.

Gli insorti napoletani festeggiano la liberazione

I tedeschi, all'alba del primo ottobre, si ritirarono (compiendo vili rappresaglie tra le popolazioni che incontravano sul loro cammino). Quando gli alleati entrarono in città, non trovarono un nemico che fosse uno. Napoli s'era liberata da sola.

Nel dopoguerra, oltre alla medaglia d’oro alla città di Napoli, furono conferire agli insorti 4 medaglie d’oro alla memoria, 6 d’argento e 3 di bronzo. Le medaglie d'oro furono assegnate ai quattro scugnizzi morti: Gennaro Capuozzo (12 anni), Filippo Illuminati (13 anni), Pasquale Formisano (17 anni) e Mario Menechini (18 anni). Medaglie d’argento alla memoria di Giuseppe Maenza e di Giacomo Lettieri; medaglie d’argento ai comandanti partigiani Antonino Tarsia, Stefano Fadda, Ezio Murolo, Giuseppe Sances; medaglie di bronzo a Maddalena Cerasuolo, Domenico Scognamiglio e Ciro Vasaturo.



(notizie tratte in parte da storianapoli.it)



Gli eccidi nazifascisti in Terra di lavoro

domenica 4 aprile 2010

La mitica pastiera napoletana


Currite, giuvinò! Ce stà 'a pastiera!"

E' nu sciore ca sboccia a primmavera,

e con inimitabile fragranza

soddisfa primm 'o naso,e dopp'a panza.

Pasqua senza pastiera niente vale:

è 'a Vigilia senz'albero 'e Natale,

è comm 'o Ferragosto senza sole.

Guagliò,chest'è 'a pastiera.Chi ne vuole?

Ll' ingrediente so' buone e genuine:

ova,ricotta,zucchero e farina

(e' o ggrano ca mmiscato all'acqua e' fiori

arricchisce e moltiplica i sapori).

'E ttruove facilmente a tutte parte:

ma quanno i' à fà l'imposto,ce vò ll'arte!

A Napule Partenope,'a sirena,

c'a pastiera faceva pranzo e cena.

Il suo grande segreto 'o ssai qual'è?

Stu dolce pò ghì pure annanz' o Rre.

E difatti ce jette. Alludo a quando

il grande Re Borbone Ferdinando

fece nu' monumento alla pastiera,

perchè facette ridere 'a mugliera.

Mò tiene voglia e ne pruvà na' fetta?

Fattèlla: ccà ce stà pur' a ricetta.

A può truvà muovendo un solo dito:

te serve pe cliccà ncopp ' a stu sito.

Màngiat sta pastiera,e ncopp' a posta

dimme cumm'era: aspetto na' risposta.

Che sarà certamente"Oj mamma mia!

Chest nunn'è nu dolce: è na' poesia!"

STORIA DELLA PASTIERA IN RIMA

A Napule regnava Ferdinando

Ca passava e' jurnate zompettiando;

Mentr' invece a' mugliera, 'Onna Teresa,

Steva sempe arraggiata. A' faccia appesa

O' musso luongo, nun redeva maje,

Comm'avess passate tanta guaje.

Nù bellu juorno Amelia, a' cammeriera

Le dicette: "Maestà, chest'è a' Pastiera.

Piace e' femmene, all'uommene e e'creature:

Uova, ricotta, grano, e acqua re ciure,

'Mpastata insieme o' zucchero e a' farina

A può purtà nnanz o'Rre: e pur' a Rigina".

Maria Teresa facett a' faccia brutta:

Mastecanno, riceva: "E' o'Paraviso!"

E le scappava pure o' pizz'a riso.

Allora o' Rre dicette: "E che marina!

Pe fa ridere a tte, ce vò a Pastiera?

Moglie mia, vien'accà, damme n'abbraccio!

Chistu dolce te piace? E mò c'o saccio

Ordino al cuoco che, a partir d'adesso,

Stà Pastiera la faccia un pò più spesso.

Nun solo a Pasca, che altrimenti è un danno;

pe te fà ridere adda passà n'at' anno!"

ORIGINI DELLA PASTIERA

La pastiera, forse, sia pure in forma rudimentale, accompagnò le feste pagane celebranti il ritorno della primavera, durante le quali le sacerdotesse di Cerere portavano in processione l'uovo, simbolo di vita nascente. Per il grano o il farro, misto alla morbida crema di ricotta, potrebbe derivare dal pane di farro delle nozze romane, dette appunto " confarratio ". Un'altra ipotesi la fa risalire alle focacce rituali che si diffusero all'epoca di Costantino il Grande, derivate dall'offerta di latte e miele, che i catecumeni ricevevano nella sacra notte di Pasqua al termine della cerimonia battesimale.
Nell'attuale versione, fu inventata probabilmente nella pace segreta di un monastero dimenticato napoletano. Un'ignota suora volle che in quel dolce, simbologia della Resurrezione, si unisse il profumo dei fiori dell'arancio del giardino conventuale. Alla bianca ricotta mescolò una manciata di grano, che, sepolto nella bruna terra, germoglia e risorge splendente come oro, aggiunse poi le uova, simbolo di nuova vita, l'acqua di mille fiori odorosa come la prima vera, il cedro e le aromatiche spezie venute dall'Asia.
È certo che le suore dell'antichissimo convento di San Gregorio Armeno erano reputate maestre nella complessa manipolazione della pastiera, e nel periodo pasquale ne confezionavano in gran numero per le mense delle dimore patrizie e della ricca borghesia.
Ogni brava massaia napoletana si ritiene detentrice dell'autentica, o della migliore, ricetta della pastiera. Ci sono, diciamo, due scuole: la più antica insegna a mescolare alla ricotta semplici uova sbattute; la seconda, decisamente innovatrice, raccomanda di mescolarvi una densa crema pasticciera che la rende più leggera e morbida, innovazione dovuta al dolciere-lattaio Starace con bottega in un angolo della Piazza Municipio non più esistente.
La pastiera va confezionata con un certo anticipo, non oltre il Giovedì o il Venerdì Santo, per dare agio a tutti gli aromi di cui è intrisa di bene amaIgamarsi in un unico e inconfondibile sapore. Appositi "ruoti" di ferro stagnato sono destinati a contenere la pastiera, che in essi viene venduta e anche servita, poiché è assai fragile e a sformarla si rischia di spappolarla irrimediabilmente.

LA LEGGENDA DELLA PASTIERA

Ancora più leggendaria e mitologica la storia della sirena Partenope che incantata dalla bellezza del golfo, disteso tra Posillipo ed il Vesuvio, avesse fissato lì la sua dimora. Ogni primavera la bella sirena emergeva dalle acque per salutare le genti felici che popolavano il golfo, allietandole con canti d'amore e di gioia.
Una volta la sua voce fu così melodiosa e soave che tutti gli abitanti ne rimasero affascinati e rapiti: accorsero verso il mare commossi dalla dolcezza del canto e delle parole d'amore che la sirena aveva loro dedicato. Per ringraziarla di un così grande diletto, decisero di offrirle quanto di più prezioso avessero.
Sette fra le più belle fanciulle dei villaggi furono incaricate di consegnare i doni alla bella Partenope: la farina, forza e ricchezza della campagna; la ricotta, omaggio di pastori e pecorelle; le uova, simbolo della vita che sempre si rinnova; il grano tenero, bollito nel latte, a prova dei due regni della natura; l'acqua di fiori d'arancio, perché anche i profumi della terra solevano rendere omaggio; le spezie, in rappresentanza dei popoli più lontani del mondo; infine lo zucchero, per esprimere l'ineffabile dolcezza profusa dal canto di Partenope in cielo, in terra, ed in tutto l'universo.
La sirena, felice per tanti doni, si inabissò per fare ritorno alla sua dimora cristallina e depose le offerte preziose ai piedi degli dei. Questi, inebriati anche essi dal soavissimo canto, riunirono e mescolarono con arti divine tutti gli ingredienti, trasformandoli nella prima Pastiera che superava in dolcezza il canto della stessa sirena.


Ingredienti per la pasta: per 12 persone:

una confezioni da 1 kg. di pasta frolla surgelata (se la vuoi fare in casa clicca qui)

gr. 700 di ricotta di pecora

gr. 400 di grano cotto (si trova in scatola nei supermercati, se non lo trovi clicca qui per sapere come cuocerlo da te, oppure lo puoi sostituire con: orzo perlato che va messo a bagno la sera prima e cotto per 30 minuti o del riso a chicco tondo per dolci cotto per circa 20 minuti)
gr. 600 di zucchero

1 limone

gr. 50 di cedro candito

gr. 50 di arancia candita

gr. 50 di zucca candita (si chiama"cucuzzata") oppure altri canditi misti

gr. 100 di latte

gr. 30 di burro o strutto

5 uova intere + 2 tuorli

una bustina di vaniglia

un cucchiaio di acqua di fiori d'arancio

pizzico di cannella (facoltativo)


Preparazione:

-Fate scongelare la pasta frolla a temperatura ambiente.

-Versate in una casseruola il grano cotto, il latte, il burro e la scorza grattugiata di 1 limone; lasciate cuocere per 10 minuti mescolando spesso finchè diventi crema.

-Frullate a parte la ricotta, lo zucchero, 5 uova intere più 2 tuorli, una bustina di vaniglia, un cucchiaio di acqua di fiori d'arancio, e un pizzico di cannella (facoltativo)

-Lavorare il tutto fino a rendere l'impasto molto sottile. Aggiungere una grattata di buccia di un limone e i canditi tagliati a dadi. Amalgamare il tutto con il grano.

-Prendete la pasta frolla scongelata, o quella fatta da voi e distendete l'impasto allo spessore di circa 1/2 cm con il mattarello e rivestite la teglia (c.a. 30 cm. di diametro) precedentemente imburrata, ritagliate la parte eccedente, ristendetela e ricavatene delle strisce.

-Versate il composto di ricotta nella teglia, livellatelo, ripiegate verso l'interno i bordi della pasta e decorate con strisce formando una grata che pennellerete con un tuorlo sbattuto.

-Infornate a 180 gradi per un'ora e mezzo finch'è la pastiera non avrà preso un colore ambrato; lasciate raffreddare e, prima di servire, spolverizzate con zucchero a velo.

P.S. Una volta cucinata la pastiera, può essere conservata in frigo anche per 4-5 giorni.

BUON LAVORO E BUONA PASQUA!

VARIANTI
PIZZA DI AMARENE (6/8 persone)

Preparare la crema con i tuorli di 3 uova, 50 gr. di farina, 400 cc. di latte, 150 gr. di zucchero e la buccia di un limone e lasciar raffreddare. Stendere i 2/3 di 500 gr. di pasta frolla e foderare una teglia unta di burro. Stendere a parte la pasta frolla rimasta . Fare uno strato con metà della crema, ricoprirlo con 250 gr. di confettura di amarene e aggiungere l'altra metà di di crema. Pareggiare bene il ripieno, coprirlo con il disco rimasto di pasta frolla e spennellarlo con un tuorlo di uovo sbattuto. Cuocere in forno a temperatura media per circa 40 minuti, fino quando la superficie della pasta sarà colorita. servire la pizza a temperatura ambiente cosparsa di zucchero a velo.



PASTIERA ALLA CREMA (8/10 persone)

Preparate la crema: mettete in un pentolino i tuorli di due uova e 60 gr. di zucchero e mescolate con la frusta o un cucchiaio di legno, fino a quando il tutto sarà diventato ben spumoso. Aggiungere 60 gr. di farina e, continuando a mescolare, unire 200 cc. di latte. Aggiungere infine la buccia di un limone, porre il pentolino sul fuoco a fiamma bassa e far addensare la crema mescolando sempre nello stesso senso. Una volta addensata togliere la buccia di limone. Preparare la pastiera come descritto nella ricetta principale, ma utilizzando 350 gr. di ricotta, 250 di zucchero, 50 cc. di latte, 2 uova , un tuorlo d'uovo, 50 cc. di acqua di fiori d'arancio e lasciando invariati gli altri ingredienti. Aggiungere la crema alla ricotta e cuocere come indicato nella ricetta principale.



TORTA CAPRESE (6 persone)

Sciogliere 150 gr. di cioccolato fondente in pezzi a bagnomaria e farlo intiepidire. Aggiungere 200 gr. di zucchero e amalgamare bene. Unire 200 gr. di mandorle tritate e i tuorli di 4 uova e mescolare bene il tutto. Montare a neve ben ferma gli albumi delle 4 uova e unirli delicatamente al composto di cioccolato. Versare il preparato in una tortiera di 16 cm di diametro imburrata e cuocere in forno preriscaldato a 170°c per 30 35 minuti. Togliere il dolce dal forno quando è ancora morbido, perchè raffreddandosi si rassoderà rimanendo però umido, quindi servire.

Ed ecco le dolenti note: CALORIE
E' un dolce tipico della tradizione gastronomica napoletana. Gustato sopratutto nel periodo pasquale. Contiene numerosi ingredienti ed è caratteristico per la presenza di ricotta. Inoltre troviamo: farina, zucchero, latte, uova, burro, cedro candito, scorza d'arancia, canditi, sale. Mediamente l'apporto calorico per 100 gr. di pastiera si aggira tra 360-400 calorie.

Calorie per 100 gr. di pastiera:
lipidi 15-20 gr.
glucidi 45-50 gr.
protidi 15-20 gr
calorie 360-400 Kcal
Fonte : http://www.calorie.it
MA VALE LA PENA GUSTARLA ANCHE RINUNCIANDO,MAGARI, A QUALCHE ALTRA PORTATA, OPPURE, CI SI METTE IN RIGA IL GIORNO DOPO!

Anche questi consigli del video portano allo stesso risultato ... ed in più godetevi questo divertentissimo brano di canzone napoletana




La ricetta in lingua inglese Qui
The recipe in English here