martedì 31 agosto 2010

"Il caffè sospeso"...piccoli gesti di NAPOLETANITA'


C'era un tempo, ai primi del 900' in cui a Napoli, tra i bar della città e la sua gente, si usava chiedere un "caffè sospeso".
Era un’abitudine consolidata soprattutto tra la gente del popolo. Chi andava al bar (per lo più l'aristocrazia e l'alta borghesia..ma anche chi,pur non essendo ricco,magari aveva avuto un periodo fortunato e disponeva di qualche soldo in più) per un caffè, ne pagava due e alla cassa diceva: "Uno sospeso!".
Il ”sospeso” era per chi non aveva soldi. Così, prima di sera, qualcuno, meno fortunato nella vita, passava e chiedeva: "C’è un sospeso per me?" avvicinandosi al bancone.

Lo stesso Luciano De Crescenzio intitola uno dei suoi libri "Il caffè sospeso" scrivendo così: "Quando un napoletano è felice per qualche ragione, invece di pagare un solo caffè, quello che berrebbe lui, ne paga due, uno per sé e uno per il cliente che viene dopo. È come offrire un caffè al resto del mondo..."

Un’usanza tutta partenopea che sarebbe profondamente sbagliato dimenticare.
Il semplice gesto racchiude in sè un sentimento di condivisione di problemi, comunicazione e comprensione:chi ha di più non dimentica chi ha di meno.
Superfluo sapere a chi si offre,basta il pensiero,il gesto nobile...la generosità che,da millenni,il napoletano verace porta con se.

Chissà se, oggi, il cittadino partenopeo si riconosce ancora in questo profondo senso di solidarietà, di nobilissima attenzione verso il prossimo...

Di recente e per l'esattezza il 3 maggio 2010, in occasione dei 150 anni dello storico bar napoletano " Il Gambrinus", si è offerto il caffè alla città.
"Chiunque chiedeva un caffè pagato al banco lo avrebbe avuto gratis. E’stato un atto d'amore nei confronti dei napoletani, un atto non solo pubblicitario,ma simbolico dell'antico costume napoletano,della generosità dei nostri avi, un modo per riproporre una storica e straordinaria usanza della nostra città, quella del caffè sospeso"

Viviamo in un'epoca talmente piena di insicurezze e di sfiducia verso il futuro e verso chi ci circonda, che è difficile anche pensare di offrire pochi eurocent, per un semplice caffè. Certo la realtà napoletana non aiuta ma se per un attimo ci si soffermasse a pensare a ciò che eravamo, alla nostra cultura, alle nostre tradizioni, forse non avremmo più timore dell'altro. Forse ci sentiremmo parte di un qualcosa di più grande, di un sentire che non ha euguali perchè solo qui, in questa Regione, tra questa gente, una simpatica smorfia, un grazie, un sorriso, un semplice gesto,una battuta colorata, rendono più piacevole la vita.
In disuso da qualche anno,questa nobile usanza, sembra che a Napoli, voglia riproporsi così da proseguire questa opera di “solidarietà”, ed è stata accolta anche da Firenze da una decina di bar anche famosi.

Una "pillola" di saggezza del grande Luciano De Crescenzo

Tratto da “Il caffè sospeso” :
- C'era una volta un contadino cinese al quale era scappato un cavallo. Tutti i vicini cercarono di consolarlo, ma il vecchio cinese, calmissimo, rispose: “E chi vi dice che sia una disgrazia?”. Accadde infatti che, il giorno dopo, proprio il cavallo che era sfuggito ritornasse spontaneamente alla fattoria, portandosi dietro altri cinque cavalli selvaggi. I vicini, allora, si precipitarono dal vecchio cinese per congratularsi con lui, ma questi li fermò dicendo: “E chi vi dice che sia una fortuna'”. Alcuni giorni dopo, il figlio del contadino, cavalcando uno di questi cavalli selvaggi, cadde e si ruppe una gamba. Nuove frasi di cordoglio dei vicini e solito commento del vecchio cinese: “E chi vi dice che sia una disgrazia?”. Manco a farlo apposta, infatti, scoppiò una guerra e l'unico a salvarsi fu proprio il figlio del contadino che, essendosi rotto una gamba, non era potuto partire per il fronte. Questa parabola non ha fine, e potremmo applicarla a molti eventi della nostra vita, pubblica e privata.